martedì 22 ottobre 2019

Le parole d’ordine, una riflessione

Abbiamo iniziato a parlare tra noi di ciò che abbiamo scritto nell’ultimo (e primo) “dietro la lavagna”. È giusto, ci siamo detti, non seguire le vuote parole d’ordine, quelle del potere e dei suoi giullari, ma cosa significa mettere ordine nelle parole? Siamo stati per un po’ in silenzio. E così abbiamo potuto renderci conto che la prima condizione per mettere ordine è proprio fare silenzio. Come, se vuoi arredare una stanza, devi cominciare a togliere, così per mettere ordine alle parole è necessario stare in silenzio. Stare: cioè esserci, ma a dovuta distanza dal clamore, dalle urla, dalle grida, dalle trasmissioni televisive, dagli opinionisti. La seconda condizione che abbiamo scoperto è che allora comincia a farsi viva una voce, una voce che ognuno di noi ha nel proprio cuore, una voce cortese, gentile, molto precisa, molto puntuale, che ci fa riconoscere se stiamo seguendo ciò che ci rende felici o il suo contrario. Perché la prima cosa che ci dice questa voce è che ognuno cerca la propria e altrui felicità. La chiameremo la voce del cuore: quella che ci fa voler bene a noi stessi e agli altri. Che ci fa essere meno pressati dalla pretesa e più capaci di gratitudine. Una voce che abbiamo tutti dentro di noi, che emerge ogni volta che non la cacciamo volontariamente nell’angolo. Terza condizione, il dialogo. Se io imparo ad ascoltare me stesso, la voce del mio cuore, capisco, nel dialogo con l’altro, che la stessa voce parla anche in lui e così il dialogo sarà finalmente libero dai quattro-cinque argomenti standard (soldi, sesso, sport, pseudo politica …), dagli slogan e dalle parole d’ordine e sarà un dialogo fra amici. Non tra opinionisti di opinioni altrui, ma fra amici. E veniamo così a mettere ordine alle parole, riconosciamo e diamo loro il valore che hanno, scopriamo quanto ci aiutano a essere persone e non terminali istintivi di slogan che non ci appartengono. Allora mettere ordine richiama una antica parola: regola. Quella grazie alla quale non cerchi di imporre te stesso, ma, nel silenzio, cerchi di studiare, imparare, comprendere, agire in conseguenza di un lavoro culturale che sempre ti aiuta a riflettere, ascoltare e dialogare, se necessario. La regola è allora non ripetere parole d’ordine echeggiate dai mezzi di comunicazione di massa (e, purtroppo, recentemente anche da Istituzioni e Ministeri), ma lavorare per fare nostre le parole, comprenderne il significato. Per farle diventare carne, pensiero, azione, compassione. E così ci siamo anche chiariti che “dietro la lavagna” è un luogo di riflessione, un’occasione per crescere, per guardare tutto secondo un criterio nuovo.

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